L' EX BR IN OSPEDALE
Marina e il rosario regalato da Valeria Bruni
Bianconi Giovanni
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(11 agosto 2008) - Corriere della Sera
Passata l' euforia per la scarcerazione di martedì scorso, è tornata la paura. E la richiesta alla figlia di non andare a trovarla. Marina Petrella, l' ex brigatista in attesa di estradizione già firmata dal primo ministro francese Fillon, continua ad essere alimentata per sonda gastrica nell' ospedale Sainte-Anne, dove i medici hanno ottenuto la revoca degli arresti considerata indispensabile per curare la paziente. Sabato la figlia Elisa Novelli - nata 25 anni fa nel carcere romano di Rebibbia, dove la madre era detenuta - l' ha vista di nuovo col buio negli occhi. «Lo sguardo vispo che aveva subito dopo la notizia della scarcerazione, seppure su un fisico scheletrico, è già scomparso - racconta la ragazza -. Certo, ora ha la possibilità di curarsi senza la sorveglianza delle guardie, non dipende più dall' amministrazione penitenziaria, ma il problema di fondo è rimasto invariato. E lei ripete che si sente in trappola, che non riesce a immaginare un futuro e non è giusto coltivare speranze che di qui a poco potrebbero cadere. Né per lei né per noi. Dice che non vuole illudere me e mia sorella (la figlia nata da una nuova relazione in Francia, dieci anni fa, ndr), e che non ce la fa a vedermi come se niente fosse. Si sente ancora sull' orlo dell' abisso, e per questo mi ha chiesto di non andare a trovarla, come aveva fatto mesi fa quando smise di nutrirsi. Senza la prospettiva di riprendersi l' esistenza che la Francia le ha garantito per 14 anni, pur conoscendo da sempre la sua situazione, non ha più stimoli vitali. Continua a dire che se non si allontanerà lo spettro del carcere in Italia, l' unica cosa buona e utile che può fare per noi è lasciarci elaborare il lutto». Sul comodino vicino al letto, l' ex brigatista tiene il piccolo rosario che le ha regalato, quando è andata a visitarla qualche settimana fa Valeria Bruni Tedeschi. L' attrice italiana è sorella della première dame francese Carla e cognata del presidente della Repubblica Sarkozy, l' uomo che può decidere il destino di Marina Petrella.
FOCUS ANNI DI PIOMBO E GIUSTIZIA *** UN QUARTO DI SECOLO NEL 1981 I «RIFUGIATI» ITALIANI ERANO 600, OGGI PER MOLTI È SCATTATA LA PRESCRIZIONE UNA DECISIONE DAL 1982 LE AUTORITÀ FRANCESI HANNO ESAMINATO 94 CASI, UNA SOLA L' ESTRADIZIONE: PERSICHETTI
La Francia e gli ex terroristi In cento temono la svolta Caso Petrella e addio alla «dottrina Mitterrand»
Bianconi Giovanni
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(11 agosto 2008) - Corriere della Sera
Se uno chiede quanti sono ancora i «rifugiati» in Francia a rischio estradizione, gli interessati arrivano a mettere insieme qualche decina di nomi e poi rispondono: settanta-ottanta. Al massimo un centinaio. Gli altri ormai sono «scaduti», nel senso che non avevano condanne a vita né troppo elevate e quindi è scattata la prescrizione della pena. Sono tornati liberi, insomma. Ma quel centinaio che non hanno chiuso i conti con la giustizia italiana - compresi quelli per i quali la prescrizione arriverà di qui a poco - sono ancora qui nelle vesti ufficiali di ex terroristi «latitanti», seppure muniti di regolare permesso di soggiorno concesso dal governo di Parigi. E vivono appesi a un filo, che ogni tanto rischia di spezzarsi con l' arresto di uno di loro. Ora è il turno di Marina Petrella, ex brigatista ergastolana, imprigionata nell' agosto del 2007, estradizione firmata a giugno e ricorso pendente al Consiglio di Stato. Da una settimana è arrivato l' ordine di scarcerazione per le gravissime condizioni di salute psico-fisica che la costringono in una stanza d' ospedale. Prima, nell' agosto 2002, era toccato a Paolo Persichetti, ex militante dell' Unione dei comunisti combattenti. E nel 2004 è stato il turno di Cesare Battisti, arrestato, liberato, fuggito e ripescato nel 2007 in Brasile, dove è ancora in corso la disputa legale per ottenerne la riconsegna. A parte il destino di una donna giunta a pesare 40 chili di fronte alla prospettiva di scontare l' ergastolo in patria dopo che la Francia le aveva consentito per quattordici anni di costruirsi una nuova vita in libertà, il caso Petrella rappresenta per la comunità dei «rifugiati» un punto di svolta. A seconda di come si concluderà, avrà effetti decisivi su tutti gli altri che proseguono le loro «normali» esistenze francesi, fatte di lavori e famiglie ormai regolari, ma sempre col rischio di un «incidente» che può interrompere quella regolarità e riaprire vecchie pendenze penali per fatti di 25 o 30 anni fa. Crimini colorati di politica che in Italia non sono stati dimenticati, soprattutto dai familiari delle vittime, e che la Francia ha deciso di nascondere sotto il tappeto quando s' è ritrovata i responsabili in casa propria; salvo dare ogni tanto un colpo di ramazza. Come ha fatto con Marina Petrella. Se ora verrà estradata, gli altri dovranno chiedersi chi sarà il prossimo; se invece resterà, potrebbe essere la fine di tante preoccupazioni. Anche se l' incognita rimarrà, soprattutto per quel pugno di persone (una decina) condannate all' ergastolo o a pene tanto lunghe da essere ancora lontane dalla prescrizione. S' è aperta così un' altra fase della tanto discussa - celebrata o criticata, a seconda dei punti di vista - «dottrina Mitterrand», sopravvissuta al presidente socialista e rispettata in passato anche dai governi di destra, con la quale si trova ora a misurarsi Nicolas Sarkozy, e che da oltre un quarto di secolo garantisce asilo agli italiani condannati per fatti di terrorismo. A fasi alterne, con più o meno lunghi intermezzi carcerari per chi è incappato nelle maglie della giustizia locale. Ma che di fatto ha impedito i rimpatri: dei 94 italiani che dal 1982 sono stati arrestati e poi liberati dalla magistratura francese, finora il solo Persichetti è stato riconsegnato materialmente alle carceri italiane. Un topolino partorito dalla montagna di dispute e polemiche che si trascinano da più di 25 anni. Tutti gli altri (a parte Battisti, e la Petrella ancora sotto giudizio) sono rimasti e hanno ricominciato a vivere la loro vita di post-terroristi. Perché questo aveva chiesto loro François Mitterrand nel 1981, quando promise di non restituirli al Paese d' origine: uscire allo scoperto, mettendo fine al loro status di clandestini, e rinunciare a ogni teoria e pratica della lotta armata. Anche se non esiste una contabilità ufficiale, i «rifugiati» di allora - fuoriusciti dall' Italia e da decine di formazioni terroristiche, non solo Brigate rosse e Prima Linea - erano diverse centinaia. Oreste Scalzone, giunto qui nell' 81 e divenuto una sorta di icona degli «esuli», sostiene che arrivarono a seicento. Mitterrand, in una dichiarazione del 1985, parlò di trecento, «cifra approssimativa». Proprio Scalzone fu arrestato nell' agosto del 1982 e la Chambre d' accusation di Parigi diede «avviso favorevole» alla sua estradizione. Disatteso dal governo che non firmò il decreto per rispedirlo in patria. Con tanto di editoriale di Le Monde, intitolato «Lo Stato e la parola data», a spiegare che il tradimento della promessa presidenziale avrebbe significato non solo una brutta figura sul piano nazionale e internazionale, ma anche il rischio di reimmersione nella clandestinità di qualche centinaio di ex terroristi, con conseguenze imprevedibili per la stessa Francia. Da allora è cominciata un' altalena di decisioni contrastanti. Alla prima ondata di pareri a sostegno delle estradizioni durata fino al 1985 ne seguì una di segno opposto, perché quasi tutti i condannati non avevano assistito ai processi in Italia; un diritto violato secondo la legge francese, nonostante fossero stati gli stessi imputati a sottrarsi attraverso la fuga. Negli anni Novanta il vento cambiò di nuovo, e la Chambre tornò a sollecitare la riconsegna di quegli italiani riparati qui dopo la scarcerazione in patria dovuta all' eccessiva durata dei giudizi. Ma nonostante gli «avvisi favorevoli» delle corti, solo tre decreti di estradizione furono firmati dai primi ministri di Parigi, di destra o di sinistra che fossero. Uno nel 1987, abrogato dal Consiglio di Stato; uno nel 1991, corretto da un successivo contro-decreto che sostituiva il precedente; il terzo, nel 1994, nei confronti di Persichetti. Mai eseguito fino al 2002, quando la falsa pista di un suo coinvolgimento nel delitto Biagi firmato dalle nuove Br convinse i francesi a spedirlo a Roma nel giro di ventiquattr' ore. Dopo quella decisione - e l' invio dall' Italia di una lista di dodici condannati da arrestare, compilata sulla base di criteri mai svelati - i casi Battisti e Petrella (nomi contenuti nella lista) hanno animato il dibattito più in Francia che in Italia. Oltre ai timori dei «rifugiati», ovviamente. Perché è la Francia che ha consentito a queste persone di ricostruirsi una vita alla luce del sole, con tanto di documenti d' identità rilasciati dalle prefetture, e poi improvvisamente deciso di restituirne qualcuno al suo passato. Secondo scelte che paiono casuali: «Come fosse una roulette russa», mormora chi potrebbe essere colpito all' eventuale prossimo giro. Un governo ha tutto il diritto di rinnegare la famosa «dottrina», ma è la retroattività della decisione che diventa poco digeribile per gli interessati e l' opinione pubblica locale, e rischia di mettere un po' in imbarazzo lo stesso Sarkozy. E' quindi alla Francia che gli ex terroristi chiedono di mantenere la «parola data». Perché senza quella «parola» - dicono nei bar parigini dove chiedono di non essere indicati per nome, perché la prudenza non è mai troppa - «non avremmo messo su famiglia o fatto figli. Come Marina». Cioè la Petrella, madre di una bimba francese di dieci anni, presa forse casualmente o forse no in un agosto come questo. E che in una camera d' ospedale aspetta di sapere se avrà ancora il futuro che le era stato garantito. A lei e gli altri.
IL CASO GIANNI STEFAN E IL DECRETO DI ROCARD CHE ANNULLAVA L' ESTRADIZIONE
«Un precedente per Sarkozy: sono io»
II libro
Dopo l'arresto di Marina Petrella Gianni Stefan e altri hanno scritto “Treni sorvegliati -Rifugiati italiani, vite sospese” sulla vicenda degli ex terroristi che vivono in Francia
Bianconi Giovanni
Pagina 11
(11 agosto 2008) - Corriere della Sera
È stato lo stesso presidente francese, Nicolas Sarkozy, a riconoscere che la Marina Petrella arrestata un anno fa per essere riconsegnata all' Italia non è più l' ex brigatista condannata all' ergastolo per un omicidio e altri gravi reati. «La signora è in effetti in Francia dal 1993, vi ha fondato una famiglia e non ha mai violato le nostre leggi - ha scritto a Berlusconi nella lettera in cui sollecitava la grazia -. I fatti commessi dalla signora Petrella, anche se inaccettabili in uno Stato di diritto, hanno avuto luogo più di 27 anni fa. Il suo arresto ha costituito per lei uno choc psicologico che provoca oggi delle delicate conseguenze umane... La sua salute è in pericolo... Confido nella capacità di trattare questo caso con una reale umanità». Leggendo queste parole un «rifugiato» passato dalla stessa strettoia ha provato un senso di sollievo. «Mi fatto ovviamente piacere - dice Gianni Stefan, riparato a Parigi per oltre un ventennio, da due anni libero di rientrare grazie alla prescrizione - ma poi ho pensato che la grazia in Italia è un' ipotesi troppo aleatoria. Viste le premesse del suo discorso, invece, è Sarkozy ad avere in mano la carta per risolvere la situazione di Marina, senza offendere l' Italia e applicando quei principi umanitari che lui stesso invoca». La carta è il precedente costituito proprio dal «caso» di Stefan, uno dei cinque italiani per i quali il governo di Parigi ha firmato il decreto di estradizione dopo il 1981. E unico ad ottenere un contro-decreto, firmato dallo stesso primo ministro, che per motivi di salute l' ha lasciato in Francia. Arrestato nel 1986, Stefan ebbe dalla Chambre d' accusation l' «avviso favorevole» al rimpatrio, chiesto per una serie di attentati compiuti a Milano, compreso un omicidio che gli era valso all' epoca l' ergastolo (poi modificato in 21 anni di carcere). Fu rimesso in libertà e riarrestato all' inizio del ' 91, dopo il decreto di estradizione firmato dal premier Michel Rocard il 13 dicembre 1990. Mentre era pendente il ricorso al consiglio di Stato, il carcere segnò ulteriormente un fisico già malato; le condizioni di salute di Stefan peggiorarono al punto di spingere lo stesso Rocard a firmare, il 14 maggio 1991, un ulteriore decreto che sostituiva il precedente e annullava l' estradizione. «L' analogia con la vicenda di Marina Petrella è evidente», dice oggi Stefan. Si tratta di un precedente che ora gli avvocati della Petrella cercheranno di far valere. Nel contro-decreto Rocard si fa esplicito riferimento alla Convenzione europea del 1957, che consente al governo francese di negare le estradizioni quando può nuocere alla salute fisica e mentale del detenuto e del suo stretto ambito familiare. È la cosiddetta «clausola umanitaria», invocata da mesi dai legali e dalla figlia di Marina Petrella. «Mi permetto di ricordare il mio precedente perché io stesso provo disagio per la casualità con cui è stata gestita la vicenda dei rifugiati, per cui a qualcuno di noi è andata bene e a qualcun altro male», aggiunge Stefan che insieme ad altri, dopo l' arresto della Petrella, ha contribuito a realizzare un libro, intitolato Treni sorvegliati - Rifugiati italiani, vite sospese, sulla vicenda degli «esuli» riparati in Francia. Contiene anche un intervento dell' avvocato parigino Henri Leclerc, presidente onorario della Lega dei diritti dell' uomo, dedicato al problema delle vittime: «Nessuno contesta che il dolore delle vittime e la gravità delle sofferenze provocate debbano essere tenuti in conto. È giusto che il dolore delle vittime sia ascoltato, che esse possano esprimere la propria sofferenza, ma non per questo esse possono anche solo in parte sostituirsi al pubblico ministero».